Parla Patrizia Savoca, moglie di Alfredo Liotta, l’ergastolano trovato morto nel carcere di Siracusa nel luglio del 2012. Liotta era malato di anoressia, rifiutava il cibo ed era arrivato a pesare 40 chili. Eppure pochi giorni prima era stato dichiarato compatibile con il regime di detenzione in carcere: la sua storia è una delle tante che raccontano di un sistema inceppato, incapace di garantire minime condizioni di umanità ai reclusi. Il racconto di Valentina Parasecolo per Servizio Pubblico.
Alfredo Liotta: la storia
Il caso nella cronaca del Corriere della Sera:
Alfredo Liotta muore di fame e di sete, letteralmente. Nelle foto dell’autopsia non si riesce a distinguere dove sia lo stomaco. Si vedono le costole incollate alla pelle e poi il vuoto. Ha le parti intime avvolte in una busta di cellophane. Lì dentro faceva i suoi bisogni. Non riusciva a mangiare e a bere. La storia è simile alle altre. La Corte di Assise di Appello di Catania nomina uno psichiatra per capire se effettivamente sta male. I parenti avevano segnalato un dimagrimento di quaranta chili. Nella relazione inviata al magistrato, il dottore scrive: «Il comportamento e l’atteggiamento del soggetto apparivano nel complesso artefatti e quasi teatrali». Verrà considerato un simulatore con l’obiettivo di uscire dal carcere e per questo mai trasferito in un ospedale. Muore un mese dopo la perizia. Aveva una grave sindrome anoressica. A dicembre 2013 dieci persone (tra direttore del carcere, medici, assistenti carcerari, educatori e lo psicologo autore della perizia) sono stati iscritti nel registro degli indagati. « E’ già un grande risultato se si pensa che tutto stava procedendo rapidamente verso l’oblio» commenta l’avvocato Simona Filippi dell’Associazione Antigone che segue il caso.