La nota di Niccolò: “Pregiudizio ed etica del fare”

In queste ore ho riscoperto una cosa: chi ha successo nella vita in questo Paese condannerà inevitabilmente chi porta il suo stesso nome, a prescindere dalla distanza della parentela e dai suoi risultati, a fare la parte del club dei raccomandati agli occhi dei più.

Forse vincendo un Nobel la questione non sussisterebbe: in tutte le altre circostanze, o se come nel mio caso fondi una startup ed il fratello del tuo bisnonno ha fondato una casa di moda, o se in generale il tuo sforzo ha generato valore, in te risiede probabilmente del marcio.
Con le dovute differenze, in questo fenomeno esiste un fattore di vicinanza con l’altro tema affrontato ad AnnoUno giovedì scorso: la discriminazione. Gravità e tragicità incomparabili, eppure stesso germe: il pregiudizio.

Il pregiudizio nei confronti di chi arriva in Italia senza conoscerne la lingua, guidato dalla necessità e con negli occhi la speranza e la voglia di costruire un futuro migliore. Insieme. La stessa speranza che avrei visto negli occhi dei miei nonni quando lasciarono i loro paesini nel Sud Italia per cercare opportunità al Nord, o negli Stati Uniti dopo un viaggio spossante, ancor giovani e lontani da tutto ciò che era loro familiare.

Vale la pena demotivarsi nel proprio percorso da imprenditore, medico, accademico, insegnante, politico, tecnico, o professionista a causa del pregiudizio altrui? Vale la pena perdere la propria speranza in un futuro migliore e per un’integrazione reale per chi arriva in Italia armato solo di voglia di fare? Vale la pena ridursi a dove le critiche vorrebbero portare, cioè allo scoraggiamento? Io dico di no.

Non bisogna scoraggiarsi, e non farlo per se stessi. Per le proprie famiglie. Per l’esempio virtuoso da cui altri potranno prendere spunto. Perché il pregiudizio non conterà nulla per chi ti conoscerà, per le persone che vedranno il risultato del tuo lavoro. A prescindere dai cognomi e dal colore della pelle. A tutti coloro che non cercano il marcio dove non c’è, dobbiamo dire grazie.

I pessimisti potranno dire che questa è retorica, che la realtà è più complessa e sfaccettata di quanto sopra o riempirsi la bocca di tanti altri “perché” e “però”. Vero. Le raccomandazioni esistono, così come i violenti arrivati da gommoni libici, le diversità dei punti di partenza etc. Possiamo crogiolarci in questa negatività. Oppure scegliere di andare avanti.

Smettiamola di cercare il marcio e promuovere l’etica del “non si può fare” a tutti i costi. Piuttosto, puniamo con serietà le infrazioni delle regole e valorizziamo quanto vediamo andare nella direzione giusta. Così, davvero, potremo essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo.

A chi è colpito da pregiudizi, il mio consiglio di 22enne, con la massima umiltà, è il dantesco: «guarda e passa». A chi dai pregiudizi è accecato, invito a riflettere. Sia per empatia nei confronti delle persone attaccate, sia per il messaggio deleterio e infondato che spediscono al resto della società: che il mondo è marcio. Se proprio tenete a renderlo tale, state seguendo la strategia migliore. Altrimenti, la vita ed il Paese sono pieni di opportunità e bellezza.

Al Governo ed alla politica, invece, mando una richiesta, condivisa dagli straordinari 600 messaggi di ottimismo che ho avuto la fortuna di ricevere negli ultimi tre giorni. Date in primis un esempio di impegno ed onestà con il vostro operato.

Portate storie di successo nella formazione dei giovani in scuole primarie e secondarie, su larga scala. Pensatori, artisti, imprenditori, immigrati che hanno creato la propria fortuna in Italia, comandanti delle forze dell’ordine, professionisti di successo e tutti coloro che hanno una storia in grado di ispirare. Portiamoli regolarmente nelle scuole, ed istituzionalizziamo gli incontri nei programmi.

Facciamo capire agli studenti che “Si può fare”! La formazione è l’arma più potente che abbiamo per cambiare in meglio, ed uno dei modi migliori per puntare in alto è farsi ispirare da chi ce la sta facendo. O almeno ci sta provando.

Vi ringrazio per l’attenzione.