A M di Michele Santoro la storia di Youssef, marocchino arrivato in Italia a tre mesi: “Mio padre mi ha raccontato che in quegli anni le frontiere erano molto meno intransigenti. Bastava il passaporto di un familiare somigliante, o magari nascondersi sotto la gonna lunga delle madri. E così ho fatto io. L’Europa di quel tempo era molto più tollerante”. Youssef racconta poi gli anni della scuola: “E’ lì che hanno inizio i miei guai. I primi sei anni della mia vita li ho passati chiusi in casa con mia madre. Mio padre non voleva che lui uscisse e io rimanevo con lei…La cultura araba di quei tempi era così”.
La storia di Youssef
“L’impatto con la scuola fu difficilissimo. E’ come se mio padre mi avesse insegnato le regole di nascondino e poi mi avesse sbattuto in un luogo in cui si gioca a moscacieca. Mi sono imbattuto in un sistema che non conoscevo. E ho fin da subito imparato a mentire su quella che era la mia vita. Le mie risposte erano sempre diverse da quelle degli altri bambini” racconta Youssef. Che poi si sofferma sul tema della cittadinanza: “Vorremmo dire la nostra qua in Italia senza che qualcuno intervenga dicendoci che siamo ospiti”.