Caso Siri e attacchi alla magistratura: Salvini riascolti le parole di Borsellino

“Qualcuno usa gli stronzi che male amministrano la giustizia, difenderò qualunque leghista indagato da quella schifezza che si chiama magistratura italiana che è un cancro da estirpare”.

Per queste parole, pronunciate durante un comizio tenuto a Collegno nel febbraio 2016, Matteo Salvini andrà a processo il prossimo 19 giugno a Torino con l’accusa di vilipendio all’ordine giudiziario. L’attacco del vicepremier era rivolto ai magistrati che indagavano sulla “rimborsopoli” ligure che vedeva fra i rinviati a giudizio l’allora assessore regionale allo Sviluppo economico e Imprenditoria Edoardo Rixi, nominato poi sottosegretario ai Trasporti del governo Conte e che, in quell’occasione, veniva definito dal leader del Carroccio come “un fratello” “da difendere fino all’ultimo”.

Nonostante l’incombere del processo torinese non si sono placati gli attacchi di Salvini alla magistratura, a partire dall’affaire dei richiedenti asilo di Bologna, dove Matteo Salvini aveva definito “vergognosa” la sentenza del tribunale civile, intimando i giudici a “lasciare il tribunale e candidarsi con la sinistra”, fino ad arrivare al più recente caso Open Arms, con il vicepremier che si è scagliato contro l’archiviazione del comandante e del capo missione della Ong con parole sprezzanti:

“Vi anticipo che nelle prossime ore ricomincerà il balletto sulle navi sequestrate. Processo più processo meno… rischio 15 anni e li rischierò un’altra volta ma non cambio idea”.

Ma la battaglia politicamente più importante, che ha visto Salvini ancora una volta fare scudo ai “suoi” rispetto all’azione dei magistrati, è stato quella sul caso del sottosegretario Armando Siri, finito sotto inchiesta a Roma con l’accusa di corruzione per una presunta tangente di 30.000 euro. Salvini, per l’ennesima volta, si è riscoperto garantista soprattutto dopo la decisione del premier Conte di “dimissionare” il sottosegretario leghista:

“Contiamo su una magistratura efficiente, rapida e veloce. Conte dice che deciderà prima? Io aspetto la magistratura, siamo in un Paese civile, non si è colpevoli o innocenti in base a un’occhiata. Chi sbaglia paga, non basta mezzo articolo di giornale”.

Rispetto ai continui attacchi all’operato della magistratura, che apre per l’ennesima volta un doloroso scontro tra i poteri dello Stato, e all’atteggiamento tenuto sul caso Siri, forse Salvini farebbe bene a riascoltare le parole che Paolo Borsellino usò nella storica lezione sulla mafia tenuta il 26/01/1989 all’ Istituto Tecnico Professionale “Remondini” di Bassano Del Grappa.

“L’equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E no! questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: ‘Beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest’uomo è mafioso’. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c’è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati.”

Il magistrato, rispondendo alle domande di chi gli chiedeva se si sentisse o meno tutelato dallo Stato, utilizzò queste parole per visualizzare in maniera plastica i rischi che si corrono quando la politica non accompagna e non tutela l’azione della magistratura nella lotta alle organizzazioni criminali:

“Io non mi sento protetto dallo Stato, perché quando la lotta alla criminalità mafiosa viene delegata soltanto alla magistratura e alle forze dell’ordine perché si ritiene sia solo un fatto di natura giudiziaria c’è una sovraesposizione di magistratura e forze dell’ordine. Nella mentalità del criminale eliminare il magistrato o il poliziotto che si occupa di mafia significa eliminare l’unico nemico che aveva. […] Non sono chiacchiere: se facciamo il conto di quanti sono stati uccisi il numero è incredibile e, nonostante fossero non solo miei collaboratori ma prima di tutto miei amici, faccio fatica a ricordarli tutti. Questa sovraesposizione è intollerabile. Anche se, almeno in Sicilia non è mai avvenuto che per l’uccisione di un giudice o un poliziotto si siano fermate o bloccate le indagini. perché se ne è sempre trovato un altro che portasse avanti le indagini”