SiriStory 3 – Incroci pericolosi

Piccola storia di un sottosegretario che voleva fare il ministro, di un professore in affari con il re dell'eolico e di un imprenditore che si vantava (secondo le accuse) di essere amico di Messina Denaro. Come finirà? Male, molto male

Chi è “l’amico di Castelvetrano”? Nel decreto di perquisizione che ha svelato l’accusa di corruzione nei confronti del sottosegretario ai trasporti Armando Siri si citano le parole di un mafioso che chiama in causa l’imprenditore Vito Nicastri. Il quale, secondo il racconto, si vantava di avere l’appoggio “dell’amico di Castelvetrano” per una speculazione nel campo delle energie rinnovabili.

E ancora: Nicastri, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa a Palermo, è accusato di aver sviluppato un’altra speculazione su alcuni terreni agricoli e secondo gli inquirenti ha fatto guadagnare soldi a un sodalizio mafioso che arrivava fino a lui: Matteo Messina Denaro, nato proprio a Castelvetrano. Accuse ancora da provare nei confronti di Nicastri. Come quella del pentito Lorenzo Cimarosa, che racconta di una borsa piena di banconote che l’imprenditore alcamese avrebbe mandato al capomafia attraverso una serie di uomini fidati. Ma in quel processo intanto la procura ha chiesto per lui dodici anni di reclusione.

E proprio Nicastri è al centro di quell’incrocio pericoloso che parte da Genova, arriva a Roma e si ferma a Castelvetrano. Anche se i magistrati che indagano su Vito Nicastri e Paolo Arata hanno precisato che Armando Siri non sapeva nulla degli ancora presunti legami tra l’imprenditore e il re dell’eolico, a sua volta amico dell’ex parlamentare di Forza Italia che poi ha scritto il programma della Lega. Ma l’intreccio sta tutto in un reticolo di società del settore delle energie rinnovabili, che secondo gli inquirenti fanno capo solo formalmente alla famiglia Arata, ma di fatto sono partecipate occultamente da Nicastri, vero regista delle strategie imprenditoriali, considerato proprio da Arata “la persona più brava dell’eolico in Italia”: un giudizio condiviso persino dal Financial Times.

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Secondo l’accusa, gli Arata, attraverso la Alqantara srl (da loro formalmente partecipata) o personalmente (sia Paolo, che la moglie e il figlio), acquisiscono partecipazioni:

– nella Etnea srl (che opera nel settore del mini-eolico, con 10 turbine già produttive),
– nella Solcara srl (titolare di 6 torri mini-eoliche già produttive),
– nella Solgesta srl, nella Bion srl (fotovoltaico) e nell’Ambra Energia srl (fotovoltaico).

Tutte queste società, sostengono gli inquirenti, appaiono occultamente partecipate da Vito Nicastri. Sempre secondo l’accusa, Arata e Nicastri avrebbero pagato due pubblici ufficiali all’interno dell’assessorato e un altro in servizio al comune di Calatafimi, che riceve direttamente sul proprio conto corrente, dall’agosto del 2015 sino al settembre del 2018, bonifici provenienti dalla Quantas srl per un totale di 115mila euro. In cambio rilascia autorizzazioni per la costruzione delle torri mini-eoliche della Etnea srl, società che aveva acquistato, nel dicembre 2015, la Quantas srl.

Ma Arata all’epoca ha anche un problema. Come ha raccontato Repubblica, una deputata regionale del MoVimento 5 Stelle in Sicilia con le sue denunce sta facendo saltare il business del biometano nel cuore della provincia di Trapani. Valentina Palmeri inizia a indagare sullo strano progetto di Catalafimi, chiedendo gli atti alla Regione. Arata, racconta Salvo Palazzolo, ha fedelissimi anche lì, e le carte sul biometano non vengono mostrate alla deputata. Che però non ha intenzione di mollare. E qui il professore si sarebbe ricordato di Armando Siri e dello slogan “Facciamo squadra” che lo aveva portato sul palco della Lega.

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Sarebbe quindi stato Arata far inserire inserire nel programma del nuovo governo un passaggio sul biometano. E, secondo le indagini, una volta avuta la conferma da Siri che era cosa fatta, Arata ha esultato: «Così li freghiamo». Chi? I 5 Stelle siciliani. Poi è la volta del famoso emendamento sull’eolico e dei presunti 30mila euro di tangente per sbloccare i finanziamenti. «Ci pensa il nostro amico», dice Arata al figlio di Nicastri per rassicurarlo. L’amico sarebbe Siri, che all’epoca della formazione del governo, secondo la ricostruzione investigativa, aveva chiesto ad Arata di intercedere presso i suoi “amici americani” per entrare nel governo.

L’operazione riesce a metà: Di Battista e Di Maio sostengono che il nome di Siri viene proposto per via XX Settembre, ma alla fine l’«amico Armando» si deve accontentare di un posto da sottosegretario e per di più agli ordini di Toninelli. Ma è sempre meglio di niente.

A questo punto è meglio ribadirlo: nessun tribunale ha ancora condannato Nicastri per associazione mafiosa. Nessuna toga ha ancora rinviato a giudizio Arata per i legami con il re dell’eolico. E nessun giudice ha ancora ritenuto provata la presunta corruzione di Siri. Ma in questa storia di amici e di amici degli amici, una cosa è certa: quando si arriva a un incrocio pericoloso, è meglio fermarsi allo stop.

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