Come imparai a non preoccuparmi e ad amare l’Europa da sinistra

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Spira un'aria mortifera in Italia dopo il trionfo della Lega alle Europee. Eppure basterebbe alzare un po' lo sguardo in prospettiva per rendersi conto che quando è grande la confusione sotto il cielo la situazione è eccellente. Vediamo perché

Spira un’aria mortifera in Italia dopo i risultati delle elezioni europee che hanno visto il trionfo della Lega targata Matteo Salvini, il crollo del MoVimento 5 Stelle guidato da Luigi Di Maio e un risultato non certo esaltante per il Partito Democratico a trazione zingarettiana. Nonostante l’esultanza del neosegretario e di Gentiloni, andrebbe infatti segnalato che rispetto ai voti presi alla Camera nel 2018 in quella che è stata interpretata urbi et orbi come una sconfitta epocale per il partito, alle Europee secondo i risultati ancora non definitivi dello spoglio il partito perde 48mila voti. 

zingaretti gentiloni

Ciò detto, è però possibile mettere insieme alcuni elementi che forse, allargando lo sguardo un po’ più in là rispetto al proprio giardino, permettono di avere una valutazione forse più oggettiva sullo stato della sinistra in Europa. E, udite udite, persino qualche elemento di ottimismo. Il primo dato che è necessario considerare è che in Italia siamo abituati, a causa di una logica ombelicale che stenta a morire, ogni voto di qualsiasi tipo per l’influenza che ha sul governo e sulla vita politica nazionale. Questo ci porta naturalmente a considerare gli effetti di un voto come quello per le Europee in  maniera sbagliata rispetto a quello che determina. E quello che determina è ben riassunto in questa infografica pubblicata dall’UE a risultati ancora non definitivi.

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Questa infografica, che mostra la ripartizione dei gruppi all’Europarlamento dopo le europee, ci dice che popolari e socialisti, che hanno guidato l’Unione Europea con una Grosse Koalition sul modello tedesco nella scorsa legislatura, non hanno i numeri per ottenere la maggioranza e nominare una nuova Commissione Europea. Ma ci dice anche che il raggruppamento dei sovranisti e dei loro alleati insieme, anche secondo le più rosee previsioni, ovvero con l’unione tra Lega, Rassemblement National di Marine Le Pen e Brexit Parti di Nigel Farage raccoglierebbe fino a 113 deputati. I Popolari, da soli, ne hanno eletti 180 e il Partito Socialista Europeo ne porterà a Strasburgo 146.

Ma quindi cosa succederà tra Strasburgo e Bruxelles? Di sicuro c’è una cosa: nelle more delle elezioni si è parlato per qualche tempo della possibilità che nascesse un’alleanza di destra pura tra popolari e sovranisti, sul modello di quanto accaduto in Austria, dove Kurz è salito al potere grazie all’alleanza con l’FPO. Ebbene, un altro dato importante da sottolineare è che popolari e sovranisti, anche in caso di accordi con Farage, non hanno i numeri per raggiungere la maggioranza nel Parlamento europeo.

C’è di più: la storia della più grande figuraccia mai fatta da un sovranista, ovvero quella di Strache che voleva vendere l’Austria alla Russia, porterà molto probabilmente a nuove elezioni a Vienna. A quel punto invece che antesignana di un grande accordo a livello europeo, la coalizione austriaca sarà soltanto un brutto ricordo. Ad oggi quindi i sovranisti sono poco più di un centinaio e rappresentano un settimo del parlamento europeo: sono pronti a stare altri cinque anni a fare la muffa all’opposizione. E questo, per un gruppo che candida gente che vuole uscire dall’euro e distruggere l’Unione Europea, è ben più di una sconfitta: è una sentenza definitiva e inappellabile.

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Va bene, direte voi, ma se Atene piange Sparta non ha nulla da ridere vista la poderosa sconfitta dei socialisti europei. È vero, la SPD ha perso, e male, in Germania. Ma andrebbe in primo luogo notato che la percentuale di voti persi dai socialdemocratici a Berlino è quasi pari a quella di voti guadagnati dai Verdi. Da quelle parti i tentativi di rossobrunismo dentro Die Linke sono stati già respinti con perdite mentre i socialisti scontano la GroKo con la CDU di Angela Merkel. In Francia il Partito Socialista, che aveva toccato il suo punto più basso nelle scorse tornate elettorali, è tornato a guadagnare voti tanto da essere arrivato alla pari con La France Insoumise di Mélénchon che poco tempo fa l’aveva doppiato. In più anche lì – ma ci torneremo – si vede ad occhio nudo l’Onda Verde.

Poi ci sono la Spagna e l’Olanda. Dove il Partito Socialista ha stravinto le elezioni con Sanchez in sella, a dimostrazione del fatto che il problema nel resto d’Europa per l’attrattiva del voto di sinistra è anche – se non soprattutto – generazionale. Il Psoe ha preso circa il 33% delle preferenze, che consentiranno ai socialisti spagnoli di portare a Strasburgo 18 eurodeputati. Il Pp, al contrario, vede sempre più nero. E quelli di Vox, ovvero i sovranisti di Spagna? Il partito guidato da Santiago Abascal, stavolta, è andato al di sotto delle aspettative, arrivando fino ad un massimo dell’8% rispetto al 10% delle politiche. Nei Paesi Bassi il risultato più deludente lo consegue Geert Wilders, mentre i socialisti tornano a vincere (grazie a Timmermans).

E adesso veniamo ai veri vincitori di queste elezioni. Sono coloro che oggi, per la prima volta, sono il quarto gruppo del Parlamento europeo (anche se le alleanze post-voto probabilmente li spodesteranno): i Verdi. Ed è una vittoria difficile da spiegare agli italiani, che come piccole scimmiette ammaestrate sono subito scattati a ridere quando qualcuno ha cominciato a chiamare, con un gioco di parole degno dei migliori film di Vanzina, “gretini” i “fans” di Greta Thunberg.

I Verdi tedeschi arrivano al 20.5%, con un +9.8%, ben oltre le attese. Giusto per dare un termine di paragone: l’AfD alleata con Salvini sta al 10.5%, +3,4%. Il partito ecologista francese scavalca i repubblicani e i socialisti che si sono fermati poco sopra il 6%. Ma a dover far riflettere tutti è un altro dato: in Germania i Verdi prendono più voti nella fascia di età fino ai trentaquattro anni, ovvero tra gli elettori più giovani. Ecco, mentre i gretinetti apostrofavano i gretini, i Verdi diventavano il secondo partito in Germania e il terzo partito in Francia e si prendevano i voti dei più giovani, che anche soltanto per ragioni anagrafiche valgono di più. E come hanno raggiunto questi risultati? In Germania, propugnando le ragioni dell’accoglienza contro la xenofobia perpetrata dall’AFD e alla fine vista con enfasi securitaria anche da ampi settori socialdemocratici e popolari. In Francia, spostandosi a sinistra e occupando gli spazi lasciati liberi dai socialisti e da Mélénchon. Insomma, i Verdi, che hanno ottenuto ottimi risultati anche in Finlandia – con il 16% (+7%) sono il secondo partito – e in Irlanda, dove con il 14,8% moltiplicano l’1,6% di cinque anni fa, oltre che in Austria, dove Die Grunen ha raddoppiato i consensi (20,5%) e in Gran Bretagna, dove il Green Party + riuscito a raddoppiare il suo precedente risultato, raggiungendo il 12,4%, sconfiggendo i Conservatori di Theresa May, sono quelli che i giornali di destra italiani apostrofavano: come i cocomeri, verdi di fuori e rossi dentro. E questo non può che far bene alla sinistra.

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Ma allora chi guiderà l’Europa nel prossimo quinquennio? Posto che l’alleanza (teorica) tra Popolari e Sovranisti è sfumata per ragioni numeriche, la maggiore probabilità è che Popolari e Socialisti trovino una nuova maggioranza insieme ai liberali dell’ALDE, per un’unione a tre che avrebbe una maggioranza tranquilla. Oppure nel gioco potrebbero rientrare gli stessi Verdi, lasciando alle opposizioni, sovraniste e non, le briciole visto che potrebbero contare su poco meno di 500 eurodeputati. Con questi presupposti Salvini  & Le Pen avranno ancora tempo per fare gli spettatori a Bruxelles e a Strasburgo.

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E veniamo finalmente all’Italia. Dove oggi viene certificato il trionfo di Matteo Salvini e la sconfitta di Luigi Di Maio. Ma dove sarebbe necessario anche guardare il calendario. Alla fine del 2013 emerse infatti la leadership di Matteo Renzi nel Partito Democratico che venne certificata con le elezioni europee del 2014 dove il PD raggiunse la percentuale monstre del 40,8% (ben più che il 34,4% di Salvini). Tre anni dopo Renzi aveva perso il referendum, era fuori da Palazzo Chigi ed era anche pronto a perdere male le elezioni politiche portando il partito al più basso risultato di sempre. Nel frattempo brillava nel cielo la luce del MoVimento 5 Stelle che nel 2016 conseguiva il suo massimo risultato vincendo a Torino e a Roma mentre luccicava l’astro nascente della politica italiana, ovvero Luigi Di Maio. Ora siamo nel 2019, sono passati altri tre anni e la situazione a Roma è questa (a Torino è molto simile, a Livorno il M5S ha mancato il ballottaggio):

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Elezioni a Roma e confronto con gli anni precedenti (Il Messaggero, 27 maggio 2019)

La leadership di Di Maio appare in chiaro declino dopo appena tre anni, come era stato per Renzi (e prima di lui per Bersani). Non è strano: visto che siamo nella società liquida di Bauman, dove “il cambiamento è l’unica cosa permanente e l’incertezza è l’unica certezza“, è normale che i leader diventino liquefatti in così poco tempo. Succede a quelli che promettono e non mantengono oppure dicono e poi deludono, come è accaduto a Di Maio. E come accadrà presto pure a Salvini. Il quale, invece di rimirare il suo 34,4% alle europee, farebbe bene a dare un’occhiata ad altri due numeri. Uno è il 25,2%: ovvero di quanto aumenterà l’IVA per le clausole di salvaguardia nel prossimo anno a legislazione vigente se i gialloverdi al governo non trovano una soluzione alternativa. L’altro numero è invece 35 miliardi di euro e rappresenta il fabbisogno necessario per sterilizzare l’IVA e varare la flat tax che il Capitano ha promesso nella prossima legge di bilancio. Ed è meglio che il Capitano si concentri, visto che dovrà trovarli tutto da solo.

Il leader della Lega infatti durante la conferenza stampa di ieri notte continuava a raccontare la favoletta che con la vittoria del suo partito ora il nostro Paese sarebbe andato a chiedere alla Commissione Europea di allentare i vincoli sul patto di stabilità, di poter fare più deficit, di poter sforare il tetto del 3% e tante altre belle cose. La realtà è che a vincere in Europa sono stati quelli che non vogliono assolutamente che nessuno (nemmeno nel proprio paese) faccia nulla di tutto ciò. Quindi Salvini deve trovare all’interno le risorse per mantenere le sue promesse. Oppure mancarle. Avviandosi così sulla strada di Di Maio. E avanti il prossimo.

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