Giorgetti: il braccio destro di Salvini tutto chiacchiere e distintivo

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio minaccia la caduta del governo un giorno sì e l'altro pure. Vi spieghiamo perché è tutta una finta

Stamattina sul Corriere della Sera ha voluto dedicarsi alle previsioni del tempo apocalittiche, pronosticando la grandine a giugno e i deboli che saranno i primi a cadere. Ma è da quando è cominciata l’era dei gialloverdi al governo che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti vede, prevede e stravede, come il mago di Segrate di Diego Abatantuono.

Cosa, di preciso? Boh. Ogni volta che parla Giorgetti, e che i giornali italiani riportano le sue dichiarazioni in interviste o retroscena, non si capisce mai cosa voglia dire o ottenere. Si lamenta del governo che è “paralizzato” dal MoVimento 5 Stelle, minaccia di “sfratto” il presidente del Consiglio Conte – che è talmente poco sveglio da prenderlo sul serio – e ora si dedica anche a prevedere la grandine, l’Apocalisse e le cavallette, come un Blues Brothers qualsiasi. Però poi alla fine non accade mai nulla.

Il governo resta saldo e Salvini di pomeriggio smentisce quello che ha detto lui al mattino, dicendo che vuole durare cinque anni. Una tattica che ricorda quella del poliziotto buono e del poliziotto cattivo, e a voler essere maligni sembra servire più che altro a tenere buoni gli imprenditori del Nord-Est, che non gradivano l’alleanza con i grillini e oggi si lamentano dei cantieri bloccati e delle commesse che tardano ad arrivare perché i bandi si perdono nei ministeri. Ma quando arriviamo al dunque, Giorgetti si dimostra un quaquaraquà.

D’altro canto la sua “carriera” politica non è esattamente quella di un rottamatore, anzi. Bocconiano e deputato dal 1996, è stato consigliere della Credieuronord – la banca dei leghisti fallita in una spremuta di sangue del ceto produttivo nordestino – e di lui si dice che è sempre stato il braccio destro di qualcuno. Prima di Bossi, poi di Maroni e adesso di Salvini. Proclamatosi ambasciatore del leghismo presso i poteri forti, nel suo curriculum brilla l’amicizia con Mario Draghi.

Quando è scoppiata la crisi dello spread i giornali hanno scritto che c’era lui dietro la svolta del Salvini vincolato e improvvisamente diventato rispettoso dell’ortodossia europea sul bilancio. Anche perché, sostennero all’epoca i maligni, qualche banca su al Nord stava rischiando di saltare e questo sarebbe stato troppo persino per il Capitano.

E così Giorgetti scompare e riappare. Non si fa sentire quando viene sfiorato nello scandalo Siri perché ha assunto il figlio di Arata, che aveva favorito l’incontro tra Bannon e Salvini. Poi rispunta a sostenere che il governo deve cadere sull’economia perché bisogna dare un segnale agli imprenditori della TAV. E poi sparisce di nuovo quando i giornali scoprono che, come tanti altri politici del Belpaese, il suo inglese è piuttosto approssimativo.

Uno così fuffoso non poteva che diventare l’idolo dei giornali italiani. I quali fanno a gara nel raccogliere l’ultima sua voce dal sen fuggita per titolare che il governo è a rischio. Anche se poi non succede nulla e domani è un altro giornale. Ecco perché i quotidiani italiani cambieranno in meglio quando capiranno che a uno come Giorgetti non bisogna dedicare paginate di interviste, ma tre righe nelle brevi se avanza spazio. Perché di chiacchiere e di chiacchieroni in politica ne abbiamo già troppi da queste parti. Vuole o non vuole far cadere il governo? Quando avrà deciso qualcosa, ci faccia un fischio. Nel frattempo meglio occuparsi delle cose serie.

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