Impuniti

di Guido Ruotolo

Eccoli in prima fila. Come se nulla fosse. Come se l’aver pagato il conto con la giustizia li avesse purificati. Salvatore Cuffaro e Marcello Dell’Utri sono stati in carcere, condannati perché collusi con Cosa nostra. E oggi fanno campagna elettorale per il candidato del centrodestra a Palermo. Non sanno, i due, che chi svolge la missione di far politica, di servire lo Stato, i cittadini, le istituzioni dovrebbe fermarsi a un certo punto. Esattamente sulla linea superata la quale l’etica e la morale pubblica vanno a infrangersi contro la decenza.
È vero che il peccato originale che ha “assolto” i due esponenti politici va ricercato nella complicità, anzi nella solidarietà mai negata di un diffuso ceto politico. Da Pieferdinando Casini, leader dell’Udc dell’epoca, che andava a trovare in carcere Totò Cuffaro, a Silvio Berlusconi che molto deve a Marcello Dell’Utri e che non ha mai fatto mistero dei suoi rapporti più che fraterni con il condannato per mafia.
Colpisce che di fronte ad una ammissione di colpa di Casini e a un suo impegno non mantenuto (”Se Cuffaro sarà condannato, lascio la politica”), il Pd lo abbia comunque candidato nelle sue liste a Bologna.
Ma sollevare la domanda sulla opportunità o meno per due condannati per mafia di tornare a fare politica come se nulla fosse non è solo una questione “moralista”. Questo è il tempo di una nuova “mafia bianca” che ha sostituito quella dei Cuffaro che oggi provano a rientrare sulla scena della politica. Ed è quella rappresentata dall’ex vicepresidente di Confindustria, Antonello Montante, considerato per lungo tempo imprenditore antimafia. Già condannato in primo grado a 14 anni di carcere. La sua rete “laica” e non “democristiana” raggiungeva e pervadeva tutta la società. Persino una decina di magistrati di Caltanissetta, la sua città, vedevano in lui un salvatore, il Re Mida delle raccomandazioni. Magistrati integerrimi nella lotta antimafia ancora oggi, che a lui si sono rivolti magari per raccomandare il suocero. La procura di Catania non ha ritenuto che i dieci magistrati nisseni avessero commesso reati.
Chiaramente i rapporti dei magistrati con Montante non sono paragonabili alle relazioni dell’ex Confindustria con il mondo emerso dalle inchieste giudiziarie sul sistema Montante. Ma c’è da chiedersi se la disinvoltura, l’indifferenza, la mancanza di rigore con la quale si trascura di chiedere conto delle proprie responsabilità, siano le stesse.