Le ginnaste vittime della grassofobia

Fonte foto: Dalila Bagnuli

di Maria Zanghì

«Il tuo corpo stabilisce se sei una fallita o meno, nello sport, come nella vita». L’inchiesta de la Repubblica sulle “Farfalle” della ginnastica ritmica, maltrattate psicologicamente dalle proprie insegnanti, ha aperto un mondo poco esplorato, quello del pregiudizio che si ha nei confronti delle persone grasse o in sovrappeso.

Per comprendere meglio cosa innesca il terrore di ingrassare, abbiamo chiesto l’opinione di Dalila Bagnuli, giovane attivista che sui propri social combatte la grassofobia e la pressione estetica.

Come hai reagito alle denunce delle ginnaste?

Mi è subito saltato all’occhio che fosse un’allenatrice, una donna, a portare avanti una narrazione così malsana, a far pesare le proprie atlete davanti a tutte, a insultarle, continuando a dire loro che non valevano nulla. Tutto sta in queste poche frasi che insinuano il senso di colpa e di fallimento. Come se la forma del tuo corpo stabilisse se sei una fallita o meno. Nello sport, come nella vita, tutte viviamo questa pressione costante. Ci viene richiesto uno standard estetico che determinerà se siamo delle vincenti o delle perdenti: questo è il verme che sta sotto la grassofobia. Si ha paura di ingrassare perché si ha timore di essere incolpate, perché culturalmente la grassezza è una colpa.

Ma anche per te è una colpa?

Ammetto di essere anch’io grassofobica, come quasi tutti. La rappresentazione del corpo ideale determina la nostra esistenza. Siamo abituati a vedere solo un certo tipo di corpo sui mezzi di comunicazione. Se sei magra ti è permesso fare determinate cose; quindi, in automatico, la presenza e l’esistenza di un corpo non conforme a quello standard di bellezza ti mette fuori legge. Veniamo nascoste, censurate e questo amplifica il pregiudizio e gli stereotipi sulle persone grasse. Se sei grassa non sei femminile, non puoi praticare certi sport e a volte il pregiudizio arriva persino negli ambiti di lavoro dove le persone in sovrappeso vengono reputate meno idonee e più svogliate.

Si può immaginare una persona grassa che sia anche leggiadra e femminile?

Un peso più leggero è utile in alcuni casi, ma in tutti gli sport considerati femminili, leggiadri, come nel caso della ginnastica, bisognerebbe provare a vedere anche come sono altri tipi di corpi. L’errore è precludere a certe forme la possibilità di esprimersi.

Come mai, secondo te, le istruttrici hanno usato questi metodi con le proprie allieve?

Queste istruttrici sono molto grassofobiche e questo atteggiamento, probabilmente, lo assumono anche nei propri confronti. Hanno assimilato dei concetti che ci sono stati inculcati. I dati ci dicono che le bambine già dai cinque anni iniziano a pensare al loro corpo come fosse un oggetto; a nove, invece, vorrebbero dimagrire e mangiare un po’ meno. La grassofobia è sempre in agguato. Nel caso specifico, in queste allenatrici credo scatti questo atteggiamento tossico e dannoso, che ritengono positivo per le proprie allieve. Non credo ci fosse cattiveria dietro la loro condotta, ma è grave che non si rendano conto quanto sia pericoloso e cattivo comportarsi in quel modo. Vogliono il meglio dalle atlete. E per loro il “meglio” è la magrezza assoluta.  

Qual è, dunque, il primo passo per decostruire la cultura grassofobica?

Imparare a riconoscerla nei nostri atteggiamenti. Siamo abituati a portare tutta la nostra attenzione sul corpo. Abbiamo interiorizzato uno specchio, facciamo continuamente un body check con il terrore di prendere qualche chil, e il senso di colpa e il fallimento sono sempre dietro l’angolo. A livello sportivo urge un corso di formazione per tutti gli istruttori per evitare danni alla salute mentale e il rischio estremo dei Disturbi del Comportamento Alimentare.

Oggi in Italia a soffrire di anoressia, bulimia e altre malattie legate all’alimentazione sono circa tre milioni e mezzo di persone all’anno. Il 70% di queste sono adolescenti.