L’Ucraina non sta vincendo la guerra. Ecco perchè Scott Ritter ha ragione.

di Raimondo Bultrini

Di recente c’è stato un cambiamento significativo nella linea apparentemente intransigente di Washington. Qualcuno ora chiede apertamente una trattativa per evitare non solo una possibile guerra nucleare, ma anche un olocausto ulteriore, come quello che potrebbe iniziare – qualcuno lo dà già per certo – con questo rigido inverno nelle regioni ucraine sotto attacco militare russo. Una strage di proporzioni epiche sarebbe troppo anche per gli strateghi di una escalation di tensioni che inizio’ –  come tutti ormai sanno – ben prima del febbraio 2022. Chiamiamola la strategia dei Signori della guerra globale.

Sia le leadership repubblicane che democratiche d’America sanno benissimo la portata degli eventi drammatici ai quali entrambi hanno contribuito pesantemente attizzando l’odio di un nemico temibile come il presidente russo Putin. Animati dalla buona intenzione di portare la democrazia usando ogni mezzo compreso il muscolo militare del Pentagono, i vari presidenti e i loro subdoli consiglieri strategici non si sono curati affatto – non è la prima volta che lo scrivo, lo so…-delle possibili conseguenze. Non hanno mai considerato il fatto che – perché abbia un buon effetto – un’azione deve essere sostenuta da una buona intenzione. Non c’è bisogno di ritirare in ballo il buddhismo e le leggi del karma spiegate dal Dalai lama per spiegare che l’intenzione cattiva non puo’ per sua natura produrre conseguenze positive.

A lungo si è discusso della liceità “democratica” della logica di un fine che giustifica ogni mezzo. Ma, di fronte oggi al “fine” nucleare, vogliamo domandarci o no se usare “ogni mezzo” per suicidarci sia una buona idea? Sembra così paradossale da sembrare oltre l’ovvio, ma se leggiamo la realtà con gli occhi dei nostri amati odiati media, questa eventualità sembra ammantarsi di un’aura gloriosa, l’Armageddon che a qualcuno porterà un messia, ad altri un demone faustiano e a tutti un posto nella storia dell’infamia umana.

Certo, osservando le fiamme sul pianeta verrà di certo voglia a molti tra gli stessi lettori di preferire la scomparsa dalla faccia della terra di nazioni intere in quanto perenni sorgenti di problemi per tutti. Vediamolo come un riflesso condizionato dalla rabbia che certe immagini di violenza trasmettono nella coscienza di ciascuno. Ma eliminare parecchia, se non tutta la popolazione umana e animale  per ottenere giustizia sui dèspoti del mondo, è proprio cio’ che sembra frullare da decenni nella mente dei leader americani. Peccato che – visti dall’altro emisfero – i dèspoti sono loro, per tanti motivi che includono un passato di azioni subdole per eliminare ogni influenza ex sovietica e russa nei paesi limitrofi, non solo l’Ucraina. Nella nostra Italia la Oss e la Cia per conto dei politici di Washington hanno utilizzato ogni mezzo – anche di questo ho parlato spesso – comprese le stragi, i colpi di stato, l’uccisione e i rapimenti di importanti politici, gli affari con la massoneria, la mafia e le banche offshore del Vaticano. Tutto studiato e documentato. La differenza è che ora i livelli di paranoia e autoconvincimento della propria potenza hanno raggiunto a Washington limiti estremi, parallelamente agli analoghi sentimenti sviluppati a Mosca da Putin e dai suoi falchi. 

Certo, ci sono prezzi che forse l’Ucraina era disposta a pagare per la libertà dall’influenza russa. Ma chiedendo alla Nato di mettere il paese sotto la sua protezione sapeva che avrebbe parallelamente invitato i leader russi a scendere in armi sui confini. Forse non aveva tutti i torti Putin di temere una proliferazione di di missili e insediamenti militari Usa alle porte del grande paese oltre a quelli già puntati su di sé da tutta Europa con base strategica in Italia.

Dall’Ucraina il campo di battaglia potenziale si estende fino a Mosca senza trovare ostacoli di sorta, terreno piatto per migliaia e migliaia di chilometri, dove un missile a lunga gittata di nuova generazione cinque volte più veloce del suono puo’ raggiungere indisturbato la capitale in meno di 5 minuti. Con o senza bomba nucleare, è una minaccia e una sorpresa che i russi non apprezzerebbero di certo, e a quel punto non ci sarà tempo per riunioni d’emergenza, consultazioni al vertice del Cremlino e linee rosse con la Casa Bianca per decidere se e quando spingere la mano sul bottone rosso.

Apparentemente cosciente del necessario sacrificio per la vittoria, un intero popolo è stato pero’ di fatto gabbato. Perché? Qualcuno lo ha convinto, usando il carisma dell’amato presidente guerriero e attore Zelensky, che con armi potenti, consiglieri militari yankee e aiuti finanziari (fin dall’inizio insufficienti a riempire il pozzo senza fondo della guerra), i crociati della democrazia avrebbero vinto in barba anche alle resistenze dentro l’Unione europea. Sappiamo che molti paesi erano inizialmente scettici sull’eventualità di permettere l’ingresso di Kyiv nell’Unione sapendo bene cio’ che avrebbe comportato. Gli Usa mandarono allora a Kyiv, prima e durante la cosiddetta rivoluzione arancione del 2014, agenti politici del tipo di Victoria Nuland, allora assistente segretaria del Dipartimento di Stato. A un’Europa riluttante Washington su segnalazione di Nuland offrì un governo nazionalista che aveva dentro parecchi elementi noti di destra e nazisti, tutti comunque fortemente anti-russi. L’inizio dell’odio anti russofono è stato costruito a tavolino negli uffici di qualche grattacielo americano e trasportato nelle piazze di Maidan dove si chiedeva a gran voce aiuto al mondo per liberarsi dal legame con Mosca.

Ora sappiamo che, giusto o sbagliato, lo zampino Usa non era un’invenzione di Mosca e dei filo putiniani. La celebre registrazione di dominio pubblico della Nuland con i suoi gradimenti e pareri sui nomi dei ministri ucraini è stata solo la prova più lampante. Nuland era consapevole che l’Unione europea avrebbe seguito la politica americana e accettato il governo imposto. Per questo si sbarazzo’ delle obiezioni del suo ambasciatore con quell’epiteto sprezzante – “Fuck EU”, Fanculo la UE. Non andremo troppo lontani dalla verità supponendo che al tempo di quella telefonata, la intraprendente diplomatica già sapesse che l’Europa di li a poco avrebbe pagato un prezzo altissimo per la ennesima Jihad americana della democrazia.

Nessuno, tranne anni prima giornalisti come Giulietto Chiesa e pochi altri analisti, ha previsto l’invasione di febbraio, pur sapendo tutti i giornalisti di Washington e Bruxelles che era la quasi inevitabile conseguenza delle promesse di ingresso Nato e degli attacchi ai civili russi nel Donbass dalle truppe di Kyiv. Una rivista seria e in genere indipendente come Limes ha mostrato – per sua stessa ammissione – tutti i limiti delle analisi fatte a tavolino o sui sentito dire di intellettuali e think tank di parte negando che ci sarebbe stata un’invasione.

Molti avranno letto che dopo l’incidente del falso missile russo in territorio polacco-Nato, nell’opinione pubblica europea è cresciuta la paura alimentata dalle false informazioni e dalle parole dello stesso presidente ucraino che probabilmente sapeva bene l’origine del missile assassino, ma disse subdolamente che si trattava di un ordigno “di fabbricazione russa”. La grezza sottigliezza sta nell’affermare-negare allo stesso tempo che l’esercito ucraino sta usando – lo fa dall’inizio della guerra… –  il vasto parco di armamenti lasciati all’Ucraina dalla Russia nei tempi delle presidenze filo-Moscovite a Kyiv.    

Ma poco importa il comportamento dovuto alle istruzioni dei maestri di “guerra psicologica”. Con l’incidente del missile si è creata – o si è voluta creare – la percezione della crisi, dare l’idea di quello che potrebbe succedere… Ma davvero gli Stati Uniti scenderanno in un campo minato come l’Europa dell’est con le truppe e altri miliardi, oltre a quelli già pesantemente rinfacciati da fasce sempre più larghe della sua stessa opinione pubblica resa più povera dalla guerra?.

La stessa riluttanza comincia a farsi sentire in Germania, dove il governo ha piazzato 2 basi aeree e missilistiche nello spazio aereo polacco. al confine con l’Ucraina, ma teme una ripercussione del conflitto sul suo stesso territorio. A Berlino e nelle altre capitali europee pochi ancora si stanno domandando abbastanza che cosa succederà quando si evacueranno le città ucraine dove ci si congela. I villaggi non bastano per 10 milioni di sfollati e non saranno troppo benvenuti nemmeno nella temporaneamente amica Polonia, già presa d’assalto fin dall’inizio degli esodi. Un disastro umanitario in progressione, con carenza di medicine, cibo sano, rifugi dal freddo e dalle bombe. L’Europa dovrà creare un corridoio umanitario per grandi masse in esodo e forse una no fly zone, una decisione dalle conseguenze inimmaginabili in tutta la sua portata. Di certo la Russia non accetterà mai una presenza Nato sul suolo ucraino e ogni incidente porterebbe un’escalation inconcepibile.

L’alternativa al destino nucleare sono le previsioni di una guerra convenzionale, anche questa sulla carta decisamente favorevole a Mosca. E’ la tesi di numerosi esperti analisti, ex ufficiali dell’esercito Usa ed ex funzionari dello spionaggio dei Marines come Scott Ritter. Secondo lui i russi aspettano soltanto il consolidamento del ghiaccio per muoversi su fiumi, laghi e campagne con 10, 15 divisioni, 700mila uomini, e prendere ogni regione contesa senza mai più restituirla a Kyiv, dove Putin lascerà un qualsiasi governo, compreso quello di Zelensky se scenderà a più miti consigli.

Finora Zelensky ha chiesto più volte ufficialmente agli Usa di usare armi nucleari contro la Russia che sta strangolando il suo paese. Ma di certo anche Washington preferisce ora affidarsi alla capacità di mediazione del direttore della Cia William Burns, da tempo uomo chiave del famoso Backchannel – canale di retrofronte – con la Russia. Dall’87 è in piedi un trattato di non proliferazione e non aggressione atomica tra i due paesi e ora si tratta di permettere Ispezioni da una e dall’altra parte per salvare questo accordo che scade formalmente nel 2026 ma è già stato violato più volte dagli Usa con l’installazione di missili e sistemi di lancio in paesi vicinissimi al fronte come Polonia e Romania.

Ora, come dicevamo,  qualcuno alla Casa Bianca e – udite udite – nello stesso tradizionalmente guerrafondaio Pentagono di cui parlero’ subito– comincia a rendersi conto che la situazione si sta spingendo troppo oltre, e che l’eco della guerra psicologica di chi ha vinto e di chi ha perso sta mistificando coi suoi tragici riverberi la realtà delle cose – la fame e il freddo di milioni – oltre ogni limite tollerabile. In condizioni miserabili potrebbe trovarsi anche un numero indefinito di europei e italiani che non potranno permettersi le bollette di gas e luce nonostante i sussidi statali. 

Il capo di Stato maggiore delle forze armate Usa, Mark Milley, ha detto che L’Ucraina ha “probabilità molto basse di conseguire una vittoria militare cacciando via tutti i russi dal Paese, inclusa la Crimea”. Un invito a trattare il trattabile è stato rivolto al presidente ucraino Zelensky dallo stesso consigliere per la sicurezza americano Jack Sullivan. Dunque l’America – speriamo non ancora troppo tardi – si è resa conto che la propaganda sempre bollata come “filo Putinista” era in fondo la più ragionevole, avendo chiesto una soluzione diplomatica fin dall’inizio. Sembra paradossale dover infatti ancora convincere l’occidente della necessità di adottare una dose maggiore di realismo, e che prima si scende da questo ottovolante bellico meglio sarebbe per tutti.

Entrero’ in dettagli illuminanti con il meno possibile di righe, servendomi di una delle più interessanti interviste sull’argomento rilasciate dal già citato Scott Ritter, già nell’intelligence dei Marines americani a monitorare le aree di conflitto, autore di ispezioni a siti nucleari e mediatore per il patto di non proliferazione atomica tra Usa e Russia entrato in vigore nell’88. Ritter risponde indirettamente alle cantonate isteriche del presidente ucraino Zelensky, che ha spacciato per russo il missile intercettatore ucraino esploso in territorio polacco. Ricorda che pochi mesi fa ad agosto lo stesso Zelensky aveva già lanciato al mondo l’allarme sui rischi per la centrale nucleare di Zaporizhia, senza pero’ fermare i bombardamenti del suo esercito nell’area degli impianti, cosa che secondo i russi avviene anche in queste ore e costituisce il maggiore rischio di eventuali incidenti.

Nel video che allego per chi puo’ seguirlo in inglese (https://www.youtube.com/watch?v=JCR-Phtgx0k) Scott sottolinea il fatto – come notato anche da altri analisti di strategie militari – che gli americani stessi e i loro principali alleati cominciano ad essere stanchi di uno Zelensky che non si accontenta di niente di meno che la ripresa della Crimea e del Donbass, gettando inutilmente nel pozzo senza fondo della guerra enormi risorse che non produrranno altro se non nuova morte. Solo ingenui e marginali politici come i nostri Letta e Calenda continuano a credere ciecamente a ogni bugia di Zelensky, come avvenuto con la sua falsa attribuzione ai russi del missile esploso in Polonia. Certamente la colpa in ogni caso è di Mosca – come ha tenuto a precisare anche Giorgia Meloni durante il G20 di Bali –  perché gli ucraini si difendono dai missili russi e non volevano farne cadere uno in Polonia. Ma perché allora Zelensky ha subito gridato Al lupo? Perché non si limita a parlare delle vere tragedie della sua gente, e a riflettere sulla unica possibilità che gli resta per evitarne di ulteriori? Se non lo fa, è perché dice giustamente che nessuno – al di fuori degli ucraini – ha il diritto di chiedere a un popolo di arrendersi al suo oppressore. E fin qui siamo tutti d’accordo. Ma forse si potrebbe trovare una via di mezzo che impedisca uno sterminio, scoprire finalmente un mezzo che giustifichi un fine ben più nobile, la pace.

Tranne la città omonima, in mano russa è l’intera regione di Kherson, quella di Zaporizhia, il Donbass, e se continueranno i combattimenti secondo Scott lo saranno presto anche Karkiv, Mykolaiv e altre regioni. L’analista non lascia troppe alternative all’ipotesi di un futuro senza presenza Nato in Ucraina e con un governo qualsiasi che accetti il nuovo status quo stabilito con le armi e determinato dalla sola volontà russa. In cambio il paese otterrà la sopravvivenza e un aiuto per la ricostruzione. Prendere o lasciare. Si dimentichi Kyiv le vittorie tattiche dei mesi scorsi. Ci penserà il generale inverno a far muovere la gran parte delle truppe in grado di mettere in ginocchio ogni resistenza ucraina e se necessario far partire i missili convenzionali già ora in grado di mettere fuori uso ogni sistema elettrico di parecchi paesi europei gettandoli nel panico.

Esagerazioni? Forse molti dimenticano che durante le trattative mediate dalla Turchia poco dopo l’inizio della guerra Mosca si disse pronta a tenersi solo il Donbass e lasciare l’intera Kherson. L’allora premier inglese Johnson disse allora agli ucraini che se avessero trattato con la Russia non avrebbero ricevuto nessuna arma Nato. Di conseguenza Kyiv non firmo’ e continuo’ ad armarsi certa di aver dietro l’ombrello occidentale. Difficile scoprire dunque solo ora che l’aiuto Nato era una trappola, una bugia, come la promessa di trovare tra America e Europa 300mila uomini da mandare al fronte. Con quali soldi? L’economia d’Europa non sa quando si riprenderà, e nel frattempo rischia rivolte sociali. Riconoscere la vittoria russa sarà dunque l’unica alternativa al disastro. Per ora è una tesi da “filoputiniano” che ovviamente non sono. Ma spero che anche questa un giorno sarà – come avvenuto con le posizioni pro-trattativa sempre più ascoltate a Washington – la scelta del mainstream di un’Europa che rispetterà i diritti di tutti. Eccetto purtroppo – come spiega l’ex 007 Scott – i diritti dell’Ucraina che fidandosi della Nuland e dei vari presidenti americani avrà perso la guerra.