Caso Provenzano, parlano i medici: “È stato trattato come un principe”

Colloqui di Provenzano
Parla il direttore del reparto di medicina protetta del San Paolo dove era detenuto il boss

 Il Direttore del reparto di medicina protetta del San Paolo sulla sentenza della Corte dei diritti umani: “Se Provenzano fosse tornato a casa non avrebbe vissuto più di due settimane”.

 

Camera singola con bagno, assistenza medico-sanitaria 24 ore su 24 garantita da 8 medici, 14 infermieri, 9 operatori socio-sanitari. In questa Unità di medicina protetta dell’Ospedale San Paolo di Milano, secondo la Corte europea dei diritti umani, il boss mafioso Bernardo Provenzano sarebbe stato sottoposto a “trattamenti inumani e degradanti”. Ma è davvero così? Il reparto di medicina protetta, che oggi ospita 22 degenti, divisi in camere da 2 o 4 letti, ha un’area riservata ai detenuti sottoposti al 41 bis, inaugurata nel 2012: due stanze singole, con bagno, separate da una porta blindata e presidiata dalle guardie penitenziarie. In una di queste stanze singole, costantemente monitorato e assistito da medici e infermieri, Bernardo Provenzano – condannato a una decina di ergastoli per qualche decina tra stragi e omicidi – ha trascorso l’ultima parte della sua vita. Claudio Rognoni è uno dei medici che lo ha curato e oggi dirige il reparto.

Per quanto tempo è stato ricoverato Provenzano al San Paolo?

Bernardo Provenzano è arrivato da noi nell’aprile 2014 ed è morto nel luglio 2016. Ed è morto senza una piaga da decubito. Il personale sanitario lo ha assistito minuto per minuto, gli cambiavano posizione ogni mezz’ora, era costantemente alimentato. Provenzano è stato trattato come un principe, anche con un notevole dispendio di risorse”.

 

E il “carcere duro”?

Noi siamo medici e ci occupiamo della salute del paziente. Così è stato anche con Provenzano, persino con maggiore attenzione del normale, considerata la visibilità mediatica della vicenda. L’unica differenza tra i degenti detenuti “normali” e quelli al 41 bis consiste nella frequenza delle visite dei familiari, una al mese. Ma queste non sono decisioni che competono ai medici.

 

Com’era il vostro rapporto con i familiari, li tenevate informati?

La moglie era una signora anziana preoccupata solo della salute del marito, comunicava poco. Con i due figli invece il rapporto è sempre stato cordiale, li abbiamo sempre tenuti informati sulle condizioni del padre e sulle cure a cui era sottoposto. Così come abbiamo fatto con l’autorità giudiziaria a cui abbiamo inviato regolarmente le nostre relazioni.

 

Secondo la Corte europea dei diritti umani Provenzano sarebbe dovuto morire nel suo letto.

Non entro nel merito ma una cosa, da medico, gliela posso dire: il nostro è riconosciuto come un reparto di eccellenza. Se Provenzano fosse passato dalle cure del San Paolo all’assistenza domiciliare, non avrebbe vissuto più di due settimane.