L’aveva annunciata a più riprese, ma la direttiva del ministro Salvini sulla cannabis light è uscita soltanto ieri sera. E leggendola se ne comprende facilmente il significato: il Capitano aveva annunciato che avrebbe chiuso i negozi che vendono la cannabis legale – i cosiddetti Canapa shop – ma nel documento non c’è nulla di tutto ciò.
Matteo Salvini e il grande bluff della direttiva sulla cannabis light
Come mai la montagna ha partorito il toposorcio? Probabilmente Salvini e il suo capo di gabinetto Matteo Piantedosi si sono accorti che quello che promettevano di fare era impossibile, leggi e sentenze alla mano. E così si sono dovuti accontentare di un inasprimento (per ora solo promesso) dei controlli sui Canapa Shop e di poco altro, in attesa di una pronuncia della Corte di Cassazione che è attesa per la fine di maggio.
Ma andiamo con ordine: come abbiamo spiegato ieri, in base alla legge 242 del dicembre 2016 i prodotti a base di cannabis in Italia sono legali se rispettano il tetto fissato per la dose di Thc contenuta, ossia lo 0,6%, quando quella alla base delle classiche “canne” (ma anche quella, legale e coltivata dallo Stato, per scopi terapeutici) si aggira tra il 5 e l’8% di Thc, ovvero il tetraidrocannabinolo, principio attivo che crea l’effetto psicotropo. Attenzione, però: la legge dice che è legale la produzione ma non dice esplicitamente che ne è consentita anche la vendita. E qui s’infila la direttiva sui Canapa Shop della premiata ditta Piantedosi & Salvini, che sostengono che la vendita non è consentita.
A supporto dell’affermazione la direttiva cita alcune sentenze della Cassazione e la presa di posizione del Consiglio Superiore di Sanità. Ma qui già si nota un problema piuttosto grosso: l’unica sentenza della Cassazione che non viene citata nella direttiva è quella del novembre 2018 che dice che la commercializzazione è lecita.
La direttiva sui canapa shop del ministero dell’Interno
C’è di più. Nella direttiva si afferma che la polizia ha avviato “significative iniziative di prevenzione” e che i relativi provvedimenti “hanno superato il vaglio dell’Autorità giudiziaria”. E anche qui non si può non sottolineare che alla ricostruzione manca un dettaglio di importanza fondamentale.
Ovvero che quella sentenza della Cassazione era arrivata proprio nel caso di un sequestro che la Suprema Corte ha considerato illegittimo: ovvero quello effettuato dal questore di Macerata Antonio Pignataro nell’estate del 2018 nei confronti di un negozio di canapa light in città. Nell’occasione la Cassazione ha anche stabilito che non è possibile effettuare sequestri preventivi se i negozi sono in grado di dimostrare che la merce che hanno in vendita è stata regolarmente comprata da rivenditori che dichiarano di rispettare la soglia dello 0,6% di THC.
In questi casi, hanno chiarito i giudici, la polizia può prelevare un campione da analizzare e, se la soglia risulta superata nei risultati delle analisi, può procedere al sequestro. E Pignataro si è adeguato, visto che per il sequestro annunciato ieri ha prima effettuato le analisi e poi ha agito, dopo che i risultati avevano certificato il superamento della soglia dello 0.6% nei prodotti venduti nei due negozi (è stato trovata una percentuale di principio attivo pari allo 0.8%).
L’emergenza democratica non è un’emergenza
È evidente quindi che finché non sarà la Cassazione a pronunciarsi di nuovo a maggio il ministero può emanare tutte le direttive che vuole, ma la decisione finale (quella che conta) verrà presa dai giudici. E adesso andiamo al punto: cosa prevede la direttiva sui canapa shop per fermare l’emergenza percepita della cannabis light? La chiusura dei negozi? No.
Si prevede “un’approfondita analisi del fenomeno”, “una puntuale ricognizione di tutti gli esercizi e le rivendite presenti sul territorio”, “una verifica del possesso delle certificazioni su igiene, agibilità etc” e la vicinanza a “luoghi sensibili” come scuole, ospedali, parchi giochi e così via. Ed è evidente che se un canapa shop mette in vendita prodotti che rispettano le soglie di legge, rispetta le certificazioni di igiene e non si trova vicino a una scuola non verrà chiuso perché, semplicemente, non può esserlo.
La ciliegina sulla torta è il finale, dove si certifica che i servizi di “osservazione” potranno effettuare “apposite analisi sui prodotti acquistati negli esercizi in esame”, “finalizzate a scongiurare” la vendita di prodotti illegali. Ovvero proprio quello che diceva la sentenza della Cassazione che ha stabilito l’impossibilità dei sequestri preventivi. E quello che si poteva già fare, visto che Pignataro a Macerata lo ha fatto l’altroieri, prima che la direttiva venisse emanata. Ma intanto l’effetto sui giornali per le elezioni europee è fatto. “Figliolo, una volta qui era tutta campagna elettorale” (cit.).
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