La guerra scema di Salvini alla cannabis legale

I negozi di cannabis light impiegano oggi un migliaio di persone, la coltivazione molti di più oltre a penalizzare il mercato nero: per questo il ministro che pensa soprattutto all'occupazione e alla sicurezza ha annunciato che vuole chiudere tutto

400 negozi aperti in tutta Italia, un giro d’affari che oggi arriva a 40 milioni e 400 ettari di terreni coltivati in più ogni anno: la coltivazione e la vendita della cannabis light, ovvero con un contenuto modesto di principio attivo, è legale solo dal 2016, ma secondo le stime degli esperti già impiega un migliaio di persone nel settore commerciale e nel giro di pochi anni potrebbe produrre un fatturato di 1,4 miliardi di euro e creare diecimila posti di lavoro, oltre che penalizzare il mercato nero.

Sarà per questo che il ministro che pensa soprattutto all’occupazione e alla sicurezza ha annunciato che vuole chiudere tutto. D’altronde Matteo Salvini è un animale da campagna elettorale e la lotta alla droga funziona tantissimo quando c’è da acchiappare voti, da questa come dall’altra parte dell’Oceano.

«Chiederò che siano vietate tutte. Proibite tutte. Sigillate tutte. Lo Stato spacciatore non è lo Stato di cui faccio il ministro», ha detto ieri, e sarà divertente vedere come lo farà. Perché la Cassazione ha rilevato che visto che la coltivazione della Cannabis light (vale a dire con un contenuto di THC inferiore allo 0,6%) è legale – in base alla legge 242 del dicembre 2016 – è legale anche la sua commercializzazione.

I prodotti a base di cannabis in Italia sono legali se rispettano il tetto fissato per la dose di Thc contenuta, ossia lo 0,6%, quando quella alla base delle classiche “canne” (ma anche quella, legale e coltivata dallo Stato, per scopi terapeutici) si aggira tra il 5 e l’8% di Thc, che poi è il tetraidrocannabinolo, principio attivo che crea l’effetto psicotropo.

Non ci sono quindi i presupposti per sequestrare della merce che è coltivata legalmente. Ma del resto Salvini ha già dimostrato in passato, con i “porti chiusi” e le direttive ministeriali annesse, che è più semplice e conveniente annunciare piuttosto che impegnarsi a modificare la legge, a integrare le tabelle delle sostanze lecite e illecite in accordo con AIFA e Ministero della Salute o a regolamentare il settore.

E siccome l’Italia è la patria del diritto e del rovescio, già prima dell’annuncio di Salvini alcuni questori avevano cominciato a muoversi. Anzi, di più: uno di questi ci ha anche fatto sapere che “La cannabis è l’anticamera dell’inferno, è l’anticamera dell’eroina e l’anticamera della cocaina”, e chissà come saranno contenti i giudici della Cassazione a fare la parte dei diavoli in questa commedia degli equivoci e delle speculazioni elettorali.

Salvini ha detto che in quanto ministro non ha tempo per aspettare i tempi della giustizia; eppure, quando si tratta di decidere se cacciare Siri dal governo, i leghisti si sgolano a spiegare che l’ex sottosegretario “è solo indagato” e che bisogna aspettare la sentenza. Ma tutto questo teatrino un effetto lo avrà: oggi gli organizzatori del Salone della Cannabis di Torino hanno annunciato l’annullamento del festival perché gli standisti hanno paura che il ministro chiuda la loro attività. Un piccolo danno economico per la città e per gli imprenditori, ma impegnandosi Salvini può riuscire a fare di peggio.

La crisi dello spread evidentemente non gli è bastata: sarà contento quando avrà fatto dell’Italia un piccolo deserto economico. Solo a quel punto potrà rilassarsi in salotto ricordando i bei tempi, quando era un Giovane Comunista Padano e voleva legalizzare addirittura le droghe leggere.

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