Marcello De Vito, le carte e le intercettazioni dell’inchiesta

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"Marcé dobbiamo sfruttarla sta cosa secondo me cioè guarda ci rimangono due anni...": le parole e le storie dell'inchiesta che ha portato in carcere il presidente dell'Assemblea Capitolina. Tra considerazioni politiche e filosofiche: "Difficile che il M5S vinca di nuovo le elezioni..."

“Questa congiunzione astrale tra è tipo l’allineamento della cometa di Halley hai capito cioè? Difficile secondo me che si riverifichi così”: a parlare è l’avvocato Camillo Mezzacapo, si rivolge al presidente dell’Assemblea capitolina Marcello De Vito e la contestualità a cui si riferisce, dice il Gip Maria Paola Tomaselli, è il governo del MoVimento 5 Stelle a Roma e a Palazzo Chigi. Una contestualità che può portare a tante sinergie di affari, che “va sfruttata al massimo proprio perché percepita come temporanea e allora noi Marcé dobbiamo sfruttarla sta cosa secondo me cioè guarda ci rimangono due anni…”.

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In ballo ci sono 110mila 620 euro corrisposti come incarico professionale dalla società Silvano Toti Holding SPA e altri 48800 su un conto intestato alla MDL s.r.l., di fatto riconducibile a Mezzacapo e De Vito. Il quale era perfettamente a conoscenza di quello che stava facendo il suo socio, tanto che in una delle intercettazioni Mezzacapo gli spiega che è necessario spartirsi i soldi: “Adesso non mi far toccare niente, lasciali lì… quando tu finisci il mandato, … se vuoi non ci mettiamo altro sopra. La chiudiamo, la distribuiamo, liquidi e sparisce tutta la proprietà, non c’è più niente, però questo lo devi fa’ quando hai finito quella cosa”. Il giudice definisce questo colloquio “illuminante” in quanto spiega “in modo inequivocabile il patto scellerato che lega De Vito a Mezzacapo, dando chiara dimostrazione di come le somme confluite nella società Mdl, formalmente riconducibili solo al secondo, siano invece anche del pubblico ufficiale che appare, peraltro, impaziente di entrarne in possesso”. Un ‘modus operandi’ messo in atto “grazie alla ‘congiunzione astrale’ e alla spregiudicatezza di chi ritiene, solo perchè dotato di astratte credenziali sociali e/o professionali, di potersi muovere liberamente e impunemente in ambiti criminali”.

E che si spezza solo quando scoppia il bubbone dell’inchiesta Rinascimento. Dopo l’arresto dell’imprenditore Parnasi e dopo la bufera per l’inchiesta sullo stadio della Roma, il presidente dell’assemblea capitolina Marcello De Vito e l’avvocato Camillo Mezzacapo cercavano di “tenere nascosto il loro rapporto” e si incontravano con “modalità assolutamente clandestine”. Secondo quanto si legge nell’ordinanza di arresto del Gip, i due temevano “che i rapporti corruttivi da loro intrattenuti con lo stesso Parnasi potessero portare gli inquirenti a focalizzare le attenzioni investigative su di loro”. Dalle indagini è emerso che lo scorso 2 febbraio i due, attraverso Luca Bardelli, titolare di una concessionaria romana, si sarebbero incontrati nel locale del rivenditore quando era ancora chiuso. Quest’ultimo avrebbe telefonato a Mezzacapo chiedendogli di raggiungerlo con urgenza perché doveva fargli provare una Range Rover, ribadendo in maniera criptica di raggiungerlo immediatamente perché la persona con cui doveva incontrarsi si trovava in quel momento con lui. Nel giro di pochi minuti Mezzacapo raggiungeva la concessionaria in quel momento chiusa e dopo circa un’ora veniva visto uscire assieme a De Vito dalla concessionaria insieme ad una terza persona ed allontanarsi dal luogo. Nessuna auto era all’interno del cortile, tantomeno la Range Rover indicata da Bardelli nel corso della telefonata.

Il giudice racconta che la genesi dell’indagine nasce dalle dichiarazioni di Luca Parnasi, che aveva raccontato come durante un’operazione che riguardava ACEA aveva conosciuto l’avvocato Mezzacapo, il quale poi gli era stato direttamente raccomandato da De Vito per la soluzione dei vari problemi nati nel rapporto tra il Campidoglio e i proponenti dello Stadio della Roma a Tor di Valle. E infatti la partita dei due corrotti con i corruttori dapprima si gioca sul Business Park, ovvero sulla struttura che dovrebbe nascere come compensazione di cubature per i lavori pubblici che il proponente si è impegnato a svolgere: l’affare che i due discutono per la prima volta è quello dello spostamento della sede di ACEA da via Marco Polo al Business Park che dovrebbe essere edificato.

La trattativa per lo Stadio della Roma a Tor di Valle però a un certo punto prenderà un’altra piega. Anche se il meccanismo è lo stesso utilizzato con Parnasi. Cambiano però gli interlocutori, ovvero i fratelli Toti (Pierluigi e Claudio). L’occasione è la realizzazione del progetto di riconversione degli ex Mercati Generali dell’Ostiense, al quale fa peraltro esplicito riferimento il contratto di conferimento di incarico professionale stipulato da Pierluigi Toti con Camillo Mezzacapo. L’opera di riqualificazione e di rivalutazione di tutta l’area precedentemente asservita ai Mercati Generali di Roma è però osteggiata dal Municipio VIII a maggioranza M5S, anche se il presidente Paolo Pace si è invece schierato con l’edificazione. Qui scendono in campo De Vito e Mezzacapo.

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“L’avvocato Camillo Mezzacapo e il presidente dell’Assemblea capitolina Marcello De Vito, sfruttando le relazioni di quest’ultimo con soggetti chiamati ad intervenire nell’iter amministrativo relativo all’approvazione del Progetto di riqualificazione degli ex Mercati generali di Roma Ostiense di interesse della Lamaro Appalti, società dello stesso Toti – si legge nell’ordinanza – si facevano indebitamente promettere e quindi dare dai due fratelli imprenditori, Pierluigi e Claudio Toti, a titolo di prezzo della mediazione illecita, finalizzata ad ottenere una interlocuzione diretta con il pubblico ufficiale nell’ambito del progetto immobiliare suindicato la somma di denaro di euro 110.620 euro, corrisposta sotto forma di corrispettivo di incarico professionale conferito dalla società Silvano Toti Holding spa allo studio legale di Camillo Mezzacapo e da quest’ultimo trasferito per l’importo complessivo di 48mila euro su conto intestato alla società Mdl srl di fatto riconducibile all’avvocato e De Vito”.

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Poi c’è la tranche che riguarda Giuseppe Statuto. Una somma di circa 25 mila euro è stata corrisposta dall’imprenditore “sotto forma di corrispettivo di incarico professionale” allo studio legale di Camillo Mezzacapo “in cambio del rilascio del permesso di costruire, un edificio nell’area dell’ex Stazione Trastevere”. Il giudice scrive che “Mezzacapo e Marcello De Vito, sfruttando le relazioni di quest’ultimo con soggetti chiamati ad intervenire nell’iter amministrativo per il rilascio del permesso di costruire con cambio di destinazione d’uso ed ampliamento di un edificio nell’area dell’ex stazione Trastevere di interesse della Ippolito Nievo Srl, società del gruppo Statuto, si facevano indebitamente promettere e quindi dare da Statuto a titolo di prezzo della mediazione illecita finalizzata ad ottenere un’interlocuzione diretta con il pubblico ufficiale nell’ambito del progetto immobiliare la somma di denaro di euro 24.582mila euro corrisposta sotto forma di corrispettivo di incarico professionale conferito allo studio legale di Camillo Mezzacapo e da quest’ultimo trasferito per l’importo complessivo di 16.640 euro su un conto intestato alla società Mdl Srl di fatto riconducibile a Mezzacapo e De Vito”. Qui a mettersi di traverso è il Municipio XII, ma grazie all’intervento dei due alla fine tutto fila liscio.

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E le intercettazioni rivelano anche un certo interesse riguardo l’attuale situazione politica. In questo dialogo riportato nell’ordinanza ad esempio Mezzacapo afferma che sarà difficile che il M5S rivinca le elezioni a Roma (e il senso della battuta è chiaro: perché sta governando male) e De Vito risponde che bisogna fare una deroga alla regola dei due mandati, aggiungendo che serve anche a Di Maio perché il governo cadrà “dopo le nomine ENI ed ENEL”, pronostica, magari tra maggio e giugno 2020. In effetti Di Maio qualche tempo fa ha annunciato proprio una deroga alla regola dei due mandati per i consiglieri comunali come De Vito.

Fin qui l’ordinanza. In carcere sono finiti il presidente dell’assemblea capitolina, Marcello De Vito e l’avvocato Camillo Mezzacapo per entrambe le accuse. Ai domiciliari, invece, l’architetto Fortunato Pititto, legato al gruppo imprenditoriale della famiglia Statuto, e l’imprenditore Gianluca Bardelli, proprietario di una concessionaria auto dove sarebbe avvenuto un incontro segreto tra De Vito e Mezzacapo In questo filone risultano indagati i fratelli Pierluigi e Claudio Toti, presidente e vicepresidente della holding di famiglia e Giuseppe Statuto. Sempre nel registro degli indagati l’avvocato Virginia Vecchiarelli, dello studio legale di Mezzacapo e le imprenditrici Paola Comito, amministratore e legale rappresentante della società Ellevi Srl, e Sara Scarpari, amministratore e legale rappresentante della società Mdl Srl, riconducibile a De Vito e Mezzacapo. Da domani la parola passerà alle difese.

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