In crisi non è il governo ma il Parlamento. Draghi resta al comando

Ieri, in Senato, Mario Draghi non ha pronunciato la parola “armi” nemmeno una volta. Oggi alla Camera – davanti a un’aula semideserta – ha riproposto lo stesso discorso fatto ieri a Palazzo Madama. In vista del Consiglio europeo del 23-24 giugno che si occuperà soprattutto della guerra in Ucraina, il presidente del Consiglio porta a casa una maggioranza che gli rinnova un mandato in bianco fino a dicembre 2022.

Per ore i parlamentari hanno condotto un dibattito debole, in cui non si è tenuto conto nemmeno dei fatti recenti che rischiano di alimentare l’escalation. Come il blocco del transito di beni soggetti a sanzioni Ue verso l’exclave baltica di Kaliningrad, che ha contribuito ad aumentare le tensioni con Mosca. E come l’invio di artiglieria pesante a Kiev, decisa da Biden, che potrebbe innescare un conflitto nucleare. Niente, nelle aule parlamentari italiane di questi fatti nemmeno una parola.

Alla fine la risoluzione è stata approvata a maggioranza, con 219 voti favorevoli, 20 contrari e 22 astenuti. Draghi ha ancora una maggioranza, in crisi non è andato il governo ma il Parlamento.
In particolare quanto chiesto dal Movimento 5 stelle è stato del tutto ignorato. Il partito di Conte aveva chiesto un maggiore coinvolgimento del Parlamento nella gestione della guerra e sull’invio di armi all’esercito ucraino, come in una Repubblica parlamentare dovrebbe essere. Ma nessuna di queste richieste è stata ottenuta. Di fatto nel testo ci sono solo generici riferimenti sul coinvolgimento del Parlamento e nessuna novità sull’invio di nuove armi.

Con la risoluzione approvata si chiede al governo di «continuare a garantire, secondo quanto previsto dal decreto-legge 14/2022 (cosiddetto “decreto Ucraina” ndr)». In altre parole: il governo potrà continuare a inviare armi a Kiev fino alla fine di dicembre, senza ogni volta dover chiedere il permesso con un voto al Parlamento. Ma impegnandosi soltanto a riferire «con cadenza almeno trimestrale».